
Dobbiamo sfruttare l’apporto della natura in modo responsabile e rispettando l’equilibrio, al momento già compromesso, dell’ecosistema.
La quantità di plastica che ogni giorno utilizziamo va a finire nelle discariche e nei mari, producendo danni per l’ambiente di portata eccezionale. In particolare, sono gli imballi dei prodotti alimentari a rappresentare il problema peggiore.
Di recente, però, si sta parlando molto di packaging sostenibile.
Sono in molte le startup a realizzare buste e contenitori per alimenti biodegradabili o commestibili.
Per non parlare, poi, delle posate edibili che si possono mangiare una volta concluso il pasto.
Se da un lato l’uomo si sta mobilitando per trovare soluzioni che limitino gli sprechi, la natura stessa sta mettendo in atto forme di smaltimento biologico della plastica.

Che sia opera di bruchi, insetti o batteri modificati in laboratorio, i modi per riciclare la plastica in modo naturale, economico e rapido si stanno moltiplicando nel corso degli anni.
Merito degli studi di ricercatori e scienziati che hanno fatto compiere al riciclaggio biologico passi da gigante, arrivando persino a trasformare la plastica in aroma alla vaniglia.
Il trilione di borse di polietilene (PE) che usiamo ogni anno – intasando le discariche e contribuendo all’aggregazione di isole di plastica in mezzo agli oceani – potrebbe aver trovato la giusta nemesi: un bruco dall’aspetto innocuo, ma assai vorace di quella sostanza così indigesta e letale per tutti gli altri animali.
Le larve che digeriscono la plastica il bruco mangia-plastica
La plastica è un materiale molto utile e versatile, ma il suo smaltimento continua a essere un problema; una soluzione può arrivare dalla natura, con i bruchi mangiaplastica.
Da quando il polietilene (PE) è stato inventato, oltre cent’anni fa, il pianeta è stato invaso dai rifiuti in plastica, che impiegano centinaia di anni per decomporsi.
Dei ricercatori hanno però scoperto che le larve di un parassita degli alveari, la tarma della cera (Galleria mellonella), sono in grado di mangiare la plastica, biodegradandola rapidamente.
La ricerca sui bruchi mangia-plastica è stata condotta dall’Università di Cambridge con l’Istituto di biomedicina e biotecnologia della Cantabria, in Spagna, in seguito a una scoperta casuale.
Smaltire definitivamente la plastica potrebbe essere possibile grazie ad un bruco che è in grado di biodegradare il polietilene, una plastica resistente che oggi rappresenta un vero e proprio problema per l’eliminazione dei rifiuti. A scoprirlo è stata la ricercatrice italiana Federica Bertocchini che, con i ricercatori dell’Università della Cantabria a Santander (Spagna) e dell’Università di Cambridge (Gran Bretagna), ha pubblicato su Current Biology lo studio intitolato “Polyethylene bio-degradation by caterpillars of the wax moth Galleria mellonella”.
La biologa italiana, Federica Bertocchini, ha ripulito le arnie dai parassiti delle api e li ha messi in un sacchetto di plastica; poco dopo il sacchetto si è riempito di buchi: i vermi l’avevano mangiato.
Nel 2017 l’apicultrice e biologa italiana Federica Bertocchini, dell’Istituto spagnolo di Biomedicina e Biotecnologia della Cantabria, aveva osservato che in una busta di plastica in cui aveva messo delle tarme della cera (parassiti che infestano le arnie delle api) erano comparsi dei buchi. L’accaduto fu segnalato ai ricercatori Paolo Bombelli e Christopher Howe, dell’Università di Cambridge, i quali scoprirono che un centinaio di queste tarme erano in grado di divorare la plastica rompendone i legami chimici in un modo molto simile al processo messo in atto per digerire la cera d’api.
L’esperimento condotto mostrava come le larve riducessero la massa di un involucro di plastica di 92 mg in 12 ore. Grazie ad alcuni particolari enzimi coinvolti nel processo di digestione, gli insetti riuscivano di fatto a biodegradare il polietilene (il materiale di cui sono fatte le buste di plastica).
I primi enzimi prodotti in laboratorio
Nell’aprile del 2020 la società francese di biochimica Carbios ha attirato l’attenzione con un articolo, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, in cui annuncia la scoperta di un enzima, originariamente presente nel compost, in grado di riciclare in sole 10 ore il 90% di tutti i rifiuti di plastica PET (Il polietilene tereftalato o poliestere, materiale di cui sono fatte le bottiglie per bevande e gli imballi per gli alimenti).
Il lavoro che ha portato all’utilizzo dell’enzima come strumento di riciclo è iniziato con lo screening di 100.000 microrganismi; gli scienziati lo hanno poi analizzato e modificato in laboratorio per migliorare la sua capacità di scomporre il poliestere, in modo da ottenere risultati sempre più rapidi ed efficaci, mantenendolo a una temperatura superiore ai 70°C. Il materiale ottenuto dalla scomposizione del PET è risultato riutilizzabile per creare nuove bottiglie di plastica per alimenti.
In seguito a questa scoperta, Carbios ha affermato di puntare al riciclaggio su scala industriale entro cinque anni. Ciò sarà possibile, come riporta il The Guardian, anche grazie a un accordo con la società di biotecnologie Novozymes per produrre il nuovo enzima su larga scala utilizzando funghi.
Il professor John McGeehan, direttore del Center for Enzyme Innovation presso l’Università di Portsmouth, ha affermato che Carbios è stata la principale azienda di enzimi ingegneristici per abbattere il poliestere su larga scala e che il nuovo lavoro è stato un grande progresso verso la realizzazione di un vero riciclaggio biologico circolare su scala industriale del PET.
Il superenzima giapponese
Lo scorso settembre è stato progettato un superenzima nato dalla combinazione di due diversi enzimi appartenenti a un altro insetto divoratore di plastica, scoperto accidentalmente in una discarica in Giappone: uno dei due enzimi, chiamato PETase, si nutre della superficie dura e cristallina delle bottiglie di plastica, mentre il secondo raddoppia la velocità di scomposizione dei gruppi chimici liberati dal primo enzima.
Il superenzima offre prestazioni più efficienti del suo predecessore made in Carbios: secondo gli studi effettuati degrada le bottiglie di plastica sei volte più velocemente e funziona anche a temperatura ambiente. Secondo gli esperti potrebbe essere utilizzato per il riciclaggio entro un paio d’anni. E il suo sviluppo non finisce qui: “Quando abbiamo collegato gli enzimi abbiamo ottenuto un notevole aumento dell’attività – ha dichiarato il prof. John McGeehan – questa è solo l’inizio di un percorso che ci porterà a produrre enzimi più forti e veloci che siano più rilevanti a livello industriale”.
Dalla plastica all’aroma di vaniglia
L’ultimo passo verso la frontiera del riciclaggio biologico ha portato a ottenere, dalla scomposizione di rifiuti di plastica mediante batteri geneticamente modificati, la sostanza chimica della vanillina (composto chimico ampiamente diffuso nelle industrie alimentari e cosmetiche e utilizzato anche per produrre prodotti farmaceutici ed erbicidi). È la prima volta che una sostanza chimica così importante a livello industriale viene ricavata dai rifiuti di plastica; per la precisione, dopo l’ottimizzazione del processo di scomposizione è stata ottenuta una conversione del 79% della plastica in vanillina.
Questo dato assume una grande rilevanza se si considera che le materie plastiche perdono circa il 95% del loro valore dopo un singolo utilizzo. “Questo è il primo esempio di utilizzo di un sistema biologico per riciclare i rifiuti di plastica in una preziosa sostanza chimica industriale e ha implicazioni molto interessanti per l’economia circolare”, ha dichiarato al Guardian Joanna Sadler, dell’Università di Edimburgo.
Tutte queste ricerche potrebbero portare in tempi brevi a valorizzare il riciclaggio della plastica, la cui effettiva utilità viene da più parti contestata, non solo in termini economici, ma anche e soprattutto per la quantità e qualità del prodotto ottenuto dal riciclaggio…
Dal bruco ai funghi la natura e lo smaltimento biologico della plastica
Vi abbiamo parlato di recente del bruco capace di smaltire in maniera del tutto naturale la plastica. La scoperta sensazionale realizzata dall’Università di Cambridge ha visto, tra l’altro, fra i protagonisti della ricerca la biologa italiana Federica Bertocchini. Oltre all’azione del bruco, sembra che la natura stia mettendo in atto altre forme di smaltimento biologico della plastica. In uno studio uscito di recente su Environmental Pollution, si parla infatti dell’Aspergillus Tubingenis, una specie di fungo scoperto da poco e che sarebbe capace di mangiare la plastica. Isolata in una discarica di Islamabad in Pakistan, la specie è stata poi studiata in laboratorio dagli scienziati dell’Accademia delle Scienze e dell’Università di Agricoltura dello Yunnan, entrambe in Cina.
Come lavora il fungo che smaltisce la plastica?
Secondo lo studio, sembra che lo speciale fungo possa colonizzare fogli di poliuretano e degradarli. Si tratta, sostanzialmente della plastica presente in molti oggetti di uso comune (materassi, frigoriferi…) e che trova ampio spazio nelle discariche. Una volta scoperto, il fungo è stato portato in laboratorio e sottoposto a test ed esperimenti. In particolare, è stata immersa in una soluzione liquida una lastra di poliuretano, ambiente in cui sono stati immessi anche gli stessi funghi. I risultati sono stati incredibili. Infatti, in circa due mesi di tempo, l’apparato vegetativo del fungo, composto da un insieme di filamenti concatenati, è riuscito a ridurre in poltiglia la lastra, degradandola completamente. Per quanto al momento i test in laboratorio non siano ancora conclusi, la scoperta potrebbe offrire un contributo davvero efficace alla lotta all’inquinamento.
Altre fonti video e links per approfondire l’argomento:
Smaltimento biologico della plastica: le contromosse della natura
Bruchi mangia-plastica contro l’inquinamento
https://it.mashable.com/5879/insetti-batteri-riciclo-biologico-plastica
Bruchi mangia-plastica contro l’inquinamento